Il socialista perdente

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Questo post racconta un frammento di storia.

Un frammento di storia che, sinceramente, mi fa male raccontare.

Mi fa male perché c’è dentro un pezzo della mia vita. Perché fa parte della mia vita.

Fa parte anche della vita dei miei genitori, di alcuni miei parenti, di alcuni miei amici, di donne e uomini straordinari.

Fa parte della vita di persone che stimo, perché si sono battute con coraggio in nome di ideali in cui credevano. Alcune di queste, si battono tuttora.

Ma la storia non ha un cuore. Non si impietosisce davanti agli ideali.


Questa storia parla sia di persone che conosco sia di persone che ho semplicemente ascoltato.

Parla della loro ufficiale estinzione politica.

Della loro cocciuta impreparazione alla mutevolezza della realtà.

Della loro testardaggine nel credersi intellettualmente superiori a chi la pensa diversamente.

Della loro presunzione di sentirsi in automatico dalla parte giusta (senza dubbio di errore).

Parla dei socialisti perdenti.


Il ‘socialista perdente’ ha un’idea portante: quella che i neoliberisti siano imbattibili nel gioco in cui contano ragione, giudizi, statistiche. Pertanto alla sinistra rimangono soltanto le emozioni.

Il ‘socialista perdente’ ha un sovraccarico di compassione e trova profondamente ingiuste le politiche correnti. Vedendo che il welfare state si sbriciola, corre in soccorso come può. Ma quando il gioco si fa duro, si piega alle tesi degli altri.

Il ‘socialista perdente’ dimentica che il vero problema non è tanto il debito pubblico, quanto le imprese e le famiglie sovraesposte. Dimentica che lottare contro la povertà è un investimento che ripaga con gli interessi. 

Il più grande problema del ‘socialista perdente’ non è che si sbaglia. È che è terribilmente noioso. Non ha una storia da raccontare. E se ce l’ha, non ha un linguaggio per narrarla.

Il ‘socialista perdente’ si è scordato che la storia della sinistra dovrebbe essere una narrazione fatta di speranza e progresso. 

Il più grave peccato del ‘socialista perdente’ è lo stesso della sinistra accademica, cioè essere diventato fondamentalmente aristocratico e scrivere in un gergo che rende vertiginosamente complesse le questioni semplici.

Quello che manca al ‘socialista perdente’ è, in fondo, l’ingrediente principale del cambiamento politico: la convinzione che ci sia davvero una strada migliore. Che l’utopia sia a portata di mano.

Da UTOPIA PER REALISTI di Rutger Bregman

Con affetto,

R.I.P. Sinistra del XX secolo.

Ci ritroveremo – in altre forme, con altri nomi e con altri linguaggi – più avanti.

2 pensieri su “Il socialista perdente

  1. Laura ha detto:

    Sono stra-d’accordo, avendo sperimentato la staticità di quell’utopia dai tempi del latte in polvere 🙂
    “Non considerare chi la pensa diversamente rende impreparati alla mutevolezza della realtà” è proprio la questione che riassume tutto. Fortunatamente non si possono – e non si potranno mai fermare “altre forme e altri linguaggi” – sempre facendo attenzione a non cadere nelle stesse trappole “di sentirsi in automatico dalla parte giusta”. Con un sorriso aperto, caro Enrico! 🙂

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